La stanza del grande
dipinto, in origine certo un œcus, fu adattata in seguito a
triclinio in stretta dipendenza con la contigua alcova nuziale. L'ambiente, di
m 9 × 6, è circondato su due lati da portici: su quello O si apre una porta
alta m 2,95 che costituisce l'accesso principale alla stanza; su quello
meridionale una grande finestra; all'angolo NO una piccola e bassa porta mette
in comunicazione con l'attiguo cubicolo a doppia alcova. La decorazione della
stanza è di due tipi, architettonica e figurata. Su un podio alto m 1,06 che
imita fasce di marmo verde, giallo e nero, corre una cornice verde chiaro in
forte aggetto; sulla cornice si levano i riquadri, separati da lesene, alti m
1,62 e sormontati da un fastoso fregio dipinto con larga fascia a meandro; il
fregio è alto m 0,63. Le 29 figure che compongono le dieci scene del dipinto
(quelle stanti sono alte da m 1,41 a m 1,55) agiscono sul podio contro le
pareti del fondo dipinte di rosso cinabro e riquadrate da lesene verticali
viola scuro tra cornice aurea. La continuità del fregio, che ha inizio sul lato
sinistro della stanza (parete N), è rotta dalle aperture: la finestra del lato
meridionale, la grande porta della parete O e la porticina presso l'angolo Nord dell'ambiente.
Il
pittore campano si rivela un abile colorista. Prevalgono nella sua opera gli
impasti ricchi, le velature acquarellate, la sovrapposizione dei toni a macchia
nei particolari in luce, le pennellate dense e sicure, e, dovunque, un
equilibrato accostamento di colori vividi e di toni smorzati: gialli carichi o
bianchi trasparenti o tinte pastello per i chitoni; violetti e marroni per i
mantelli; ocre e verdini per gli arredi di stoffa; sfumature diverse di rosa
per i nudi.
Problemi
di notevole gravità ha posto l'interpretazione del ciclo: se il significato
generale del dipinto non lascia dubbî, molti sono i particolari sulla cui
interpretazione alcuni studiosi hanno avanzato le più disparate teorie.
Molti echi di temi figurativi
precedenti è dato cogliere nello svolgimento del fregio. La matrona velata con
cui si apre il ciclo, vestita di chitone e di peplo, ripete schemi tipologici
di figure femminili del IV secolo a. C. A parte le singole derivazioni
tipologiche, temi formali, concezione generale e composizione dei gruppi del
dipinto sono nella tradizione figurativa dell'ellenismo. Alcuni studiosi hanno
postulato l'esistenza di un archetipo, rilievo o pittura che sia, databile al
primo ellenismo, altri lo hanno collocato nell'ellenismo tardo. Il dipinto pompeiano
deriverebbe da una grande composizione ellenistica adattata dal pittore campano
all'ambiente da decorare con l'aggiunta delle scene IX-X:
toletta della sposa e cosiddetta Domina.
Ricorrono nel dipinto alcuni
contrasti palesi tra l'altezza della concezione e la mediocre qualità della
realizzazione, soprattutto nel rendimento dei nudi e dei panneggi. Da segnalare
anche alcuni scadimenti nei contorni delle figure, specie nei profili che si
schiacciano contro il fondo, nei volumi che perdono di consistenza, nel disegno
delle mani, dei piedi e delle parti nude in genere, spesso sciupato laddove
esso, invece, avrebbe dovuto guadagnare in volume e rappresentazione
prospettica.
Bianchi Bandinellì, pur non negando
la complessa grandiosità del dipinto lo definì un' invenzione di alta e complessa civiltà artistica, immiserita
dall'esecuzione. Accanito sostenitore del valore d'arte e dell'originalità
campana del ciclo è stato Maiuri, per il quale, il ciclo, commissionato dalla
padrona della Villa, la cosiddetta Domina, ad un pittore campano operante intorno
alla metà del I sec. a. C., avrebbe impronta regionale e in ciò consisterebbe
il maggiore pregio dell'artista, che avrebbe derivato da un rilievo, forse
neoattico, attraverso una documentazione grafica fornitagli dai committenti, i
tipi per il suo dipinto. Le manchevolezze sarebbero dovute alla difficoltà di
interpretazione dello schema offerto all'artista, schema che sarebbe stato ben
lontano dalle possibilità e dalla formazione culturale del pittore campano. Il
carattere popolaresco dei profili di alcune figure dimostrerebbe una sua
concreta adesione alla realtà; merito dell'artista, inoltre, aver saputo
infondere così vivo contenuto religioso ed umano al suo dipinto.
Il
dipinto è un'alta espressione della cultura artistica campana del I sec. a. C.,
cultura non più italica ma profondamente ellenizzata e, tuttavia, il suo valore
artistico riesce limitato.
PRIMO EPISODIO
SECONDO EPISODIO
Segue un gruppo formato da una donna
seduta, velata, vista di spalle, assistita da due donne stanti, due serventi
che operano attorno ad una tràpeza. La ministrante, certo intenta ad un
sacrificio, regge con la destra un ramo su cui una delle assistenti lascia
cadere dell'acqua lustrale da un'oinochòe, con la sinistra, invece, solleva un
drappo per scoprire il contenuto di una cesta sorretta dall'altra assistente. È
qui che nella scena ancora di carattere umano si inserisce il mondo
dichiaratamente agreste e dionisiaco.
TERZO EPISODIO E QUARTO EPISODIO
QUINTO, SESTO E SETTIMO EPISODIO
Proseguendo verso destra troviamo Dioniso e Arianna. Dell'intero
fregio figurato questa scena è l'unica che abbia sofferto e che ci giunge
lacunosa. Occupano il centro della parete una figura femminile seduta, Arianna,
sul cui grembo si appoggia semisdraiato Dioniso, il quale, abbandonato il lungo
tirso di traverso alle gambe, privo di un sandalo, rovescia indietro il capo a
mirare la sua compagna cingendone il capo con le braccia.
Accanto al gruppo di Dioniso e Arianna, una
donna inginocchiata, rivolta a destra, è nell'atto di scoprire il lìknon,
o mystica vannus, il cesto dionisiaco contenente il phallos,
simbolo della forza generatrice della natura. Dietro la figura inginocchiata
sono due figure femminili di offerenti: l'una regge un piatto di spighe,
l'altra si appoggia alla prima (ma di esse non si può dire di più perché
l'affresco è perduto). Collega questa scena con la seguente, di cui fa parte,
una grandiosa figura di dèmone femminile alato che impugna un flagellum con
la destra e si rivolge verso il primo gruppo della parete meridionale per
colpire e punire. A giudicare dal gesto della mano sinistra il dèmone è
riluttante a guardare verso il lìknon.
Quasi sfuggendo più
alla visione che ai colpi del dèmone flagellante, una figura femminile seminuda
si è rifugiata nel grembo di una figura femminile seduta, rappresentata
nell'atto di proteggerla. A destra del gruppo descritto agiscono due altre
donne: l'una muove il corpo ignudo nella danza orgiastica sollevando al di
sopra del capo i cembali, l'altra figura (in parte coperta dalla precedente),
appare vestita, regge come attributo il tirso e si china verso la donna
flagellata. Con la flagellazione e con la danza orgiastica si chiude il ciclo
dionisiaco.
NONO EPISODIO
Una donna seduta,
assistita da una ancella, è rappresentata nell'atto di pettinarsi: ai lati due
figure di Eroti, quello di sinistra protende uno specchio verso la sposa,
quello di destra ha un arco in mano e guarda la scena.
DECIMO EPISODIO
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